New York








Restare a casa propria è una negligenza di cui, presto o tardi, si verrà puniti (P. Morand)

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17 luglio


Partiamo da Milano alle 7.00 di un giovedì mattina con volo Lufthansa pieno all’inverosimile, tanto da non riuscire ad avere due posti vicini. L’aereo è di quelli grandi, con first class nel piano superiore, comuni mortali nel piano centrale e bagni in quello inferiore, ogni sedile ha il monitor per l’intrattenimento e il cibo è accettabile. Poco dopo le 12.00 (ora locale) atterriamo a New York JFK. E subito impariamo che per l’americano la coda è sacra: un’impiegata zelante decide come distribuire i turisti tra i diversi sportelli per l’immigrazione. Impronta digitale, foto con sorriso smagliante e ci viene consegnata la carta verde; impariamo che l’americano parla inglese, se non capisci, peggio per te.


Prendiamo il treno per Jamaica: il biglietto non si compra in aeroporto, bensì all’uscita di Jamaica Station (5$), dove compriamo anche la METROCARD, che vale su tutta la linea della metropolitana per 7 giorni (25$). Nel giro di 45 minuti raggiungiamo il nostro hotel in zona Union Square: “YE OLDE CARLTON ARMS”; dove abbiamo prenotato una camera doppia con bagno per 130 $ a notte. Tutte le camere sono state dipinte da giovani artisti e sarebbero davvero belle se facessero un po’ di manutenzione. La realtà è che gli asciugamani erano veramente vecchi e malconci, il lavandino arrugginito, la carta igienica appoggiata per terra, nessun gancio per poter appendere un asciugamano, nemmeno uno specchio appeso, vetro della finestra bloccato, niente pulizia quotidiana (non svuotavano nemmeno i cestini), ovviamente niente colazione. Nulla di tragico, solo un po’ cara per quel prezzo! A onor del vero, bisogna dire che la posizione è ottima, vicino a Union Square e alla fermata della metropolitana “23rd st”. In ogni caso la qualità degli alloggi sembra essere bassa ovunque in questo range di prezzo, basta farsi un giro su Tripadvisor per averne una conferma.


Il fuso orario comincia a farsi sentire (per noi sono quasi le 20.00), così optiamo per una tranquilla passeggiata fino a Union Square, un’animata piazza circondata da negozi, di per sè non particolarmente bella.


Alle 19.30 (per noi le 01.30), ci addormentiamo inesorabilmente!


18 luglio


Alle 06:30 siamo svegli e affamati e così andiamo in cerca della nostra prima colazione americana. Scartiamo tutti i locali da cui esce odore di donut fritto in olio di colza e optiamo per un salutare muffin alle carote e uva passa con tazzone di caffè dal promettente “wholesome food”. Al secondo morso scopro che il mio dolcetto, che in effetti è bello grandino rispetto a quello della “Mister day”, ha più di 400 KCal, beh, in compenso sulla bottiglietta dell’acqua c’è scritto 0 KCal (Ma davvero?!).

Dopo esserci rifocillati ci dirigiamo verso Lower Manhattan: abbiamo deciso di prendere il traghetto gratuito per Staten Island (15 minuti di viaggio), da cui si gode di una splendida vista sulla Statua della Libertà (per vederla all’andata disporsi sul lato dx) e un bel quadro d’insieme della skyline cittadina. Questo traghetto, usato dai pendolari, non si ferma a Ellis Island, quindi non potete scendere per vedere la Statua della Libertà e il museo dell’immigrazione.





A metà mattina ci addentriamo tra i grattacieli del Financial district, fino al South street seaport e al Pier 17, oggi un agglomerato di negozi e ristoranti per turisti, un tempo attracco per le navi commerciali che tenevano in piedi l’economia cittadina.




A pranzo affrontiamo da novizi il nostro primo burrito americano e io ne esco quasi sconvolta, dopo essermi vista recapitare 800 g di riso e fagioli, avvolti nella sfoglia di pasta. Comincio a capire perché gli americani siano inclini al sovrappeso... Per espiare i sensi di colpa decidiamo di andare a passeggiare sul Ponte di Brooklyn, ma i 30°C abbondanti e il sole a picco ci convincono a non oltrepassare il primo punto di osservazione (circa 800 m).




Passiamo davanti alla City Hall, praticamente invisibile a causa delle alte cancellate chiuse che la circondano e ci dirigiamo verso Ground Zero, dove regnano il caos, il rumore e la polvere. Migliaia di turisti si affollano e si affannano lungo le reti di protezione del cantiere, qualcuno si ferma alle bancarelle che vendono “souvenir della tragedia”. La verità è che non c’è niente da vedere e basta la sirena di un’ambulanza che si avvicina per avvertire tensione nell’aria. Ci allontaniamo dalla folla e decidiamo di osservare l’area delle torri gemelle dal vicino World Financial Center, al cui interno si trova anche il winter garden, uno splendido giardino tropicale con tanto di anfiteatro.





Usciamo dal retro dell’edificio e ci ritroviamo per caso in un angolo idilliaco della città, che sembra essere distante chilometri dalla polvere di ground zero. Da qui parte infatti una bella passeggiata sullo Hudson River, con vista sul New Jersey con tanto di lussuose imbarcazioni, fontana e angoli per sedersi a leggere all’ombra degli alberi.





Alle 16.00 ci spostiamo al MOMA, abbiamo intenzione di approfittare dell’entrata gratuita che viene proposta tutti i venerdì dalle 16.00 alle 19.00. Ingenui! Pensavamo di non trovare praticamente nessuno e invece facciamo diversi isolati di coda (rigorosamente controllata da assistenti del museo). Fortunatamente la coda è scorrevole e impieghiamo pochissimo. L’edificio che ospita il museo è bellissimo e merita già di per sé una visita, le opere contenute sono strepitose, peccato solo che “Notte stellata” fosse in prestito. Un po’ esausti, ci riposiamo qualche minuto nel giardino delle sculture e rientriamo in albergo.




Ancora provati dal burrito mangiato per pranzo, optiamo per Whole Foods Market in Union Square. Si tratta di un supermercato-gastronomia di prodotti bio di tutto il mondo con sala da pranzo. Compriamo sushi (buonissimo!) e una zuppa di carote e zenzero.

Nessuna crisi di sonno, andiamo regolarmente a letto alle 23.00.


19 luglio


Sveglia alle 07.00 non credo tanto per il fuso orario quanto piuttosto per il traffico in strada e quella maledetta abitudine di non usare tapparelle e persiane! Questa mattina ci facciamo rovinosamente tentare da Seven Eleven, dove compriamo un donut (non ancora digerito a distanza di settimane!) e un caffè alla nocciola (sembrava invitante ma dopo due sorsi ha cominciato a ricordarmi troppo l’odore del mio balsamo!). Il tempo è bello e decidiamo di salire sulla cima del Rockefeller Center (quello dove a Natale mettono l’albero), optiamo per questo rispetto all’Empire state building perché costa meno e non c’è coda per salire. Paghiamo 20 $ a testa più per 2 $ per la cartina e saliamo in pochi minuti sul Top of the rock. La vista è incredibile, solo da qua riesci a renderti conto delle dimensioni della città,  l’Empire state building è grandiosamente di fronte a noi, il Chrysler building  è invece un po’ nascosto, Central park si estende fino all’orizzonte.




Scendiamo e ci concediamo una mezz’ora di window shopping, prima di dirigerci a Central park per un vero pic-nic. Come tutti i newyorkesi anche noi acquistiamo le provviste da Whole Foods Market: roast beef, bagel, mango e torta al cioccolato, stendiamo il pareo all’ombra di un albero e ci godiamo il verde. Gironzoliamo ancora un po’ per il parco e poi facciamo tappa in qualche negozio classico come Apple, FAO Schwarz, ecc..




La sera visitiamo China town, nulla di particolarmente coreografico, ma troviamo un buon ristorante vietnamita dove con 25 $ in due mangiamo una montagna di noodles e maiale alla piastra. Tornando in albergo Andrea trova per strada 20 $, ottimo!


20 luglio


Sveglia alle 07.30, colazione con muesli e yogurt. E’ domenica, fa un caldo spaventoso e decidiamo quindi di avventurarci nella più classica delle gite domenicali per un newyorkese, ovvero Coney Island. Ci si arriva in poco più di mezz’ora di metropolitana e il panorama assomiglia un po’ a quello che si vede quando da Roma si va verso Ostia. La spiaggia, enorme, è attraversata da una passeggiata in legno d’epoca, attorniata da bar, ristoranti, fast-food e dal famoso luna park. Ci rilassiamo un paio d’ore e poi pranziamo dal famoso Nathan’s, il primo locale di New York che ha iniziato a servire hot dog. Ogni anno qui si tiene ancora il campionato per eleggere il più veloce mangiatore di hot dog. Torniamo verso Manhattan, ma prima ci fermiamo a Brooklyn e facciamo una passeggiata sulla Brooklyn heights promenade e tra le case di lusso del quartiere. Poi ci spostiamo nell’East village, un quartiere pieno di ristoranti alla moda, wine bar, negozi alternativi, sembra quasi di passeggiare per le vie di Parigi. Fino a pochi anni fa questa non era una zona molto rispettabile e tranquilla, mentre ora gli artisti emergenti fanno a gara per affittare un appartamento. Ci proponiamo di camminare fino ai Community gardens, appezzamenti dati in uso ai cittadini dal comune, spesso trasformati in vere installazioni d’arte, ma fa troppo caldo e sembra mancare ancora un sacco di strada, così desistiamo! L’ultima sera di permanenza a New York ci aspetta un’attività molto tipica per il luogo, ovvero andare a fare il bucato in una lavanderia automatica! Il nostro viaggio negli Stati Uniti proseguirà infatti nelle prossime due settimane, tra i parchi del sud-ovest e la California e ci servono vestiti puliti.




21 luglio


Sveglia alle ore 06.00, chiudiamo le valigie e prima di lasciare la città viviamo un’altra esperienza molto newyorkese, ovvero prendere uno dei famosi taxi gialli. Vagamente a disagio cerchiamo di sbracciarci con atteggiamento disinvolto ...et voilà, il nostro taxi si ferma. Ci facciamo portare alla metropolitana e da lì via per JFK.








Per informazioni su New York più aggiornate ti consigliamo di leggere il diario di Paolo&Paola